Il geyser imbottigliato
Considerazioni su alcune opere visive di Sylvia Plath.
«Ho scoperto la mia più profonda fonte d’ispirazione, l’arte: quella dei primitivi come Henri Rousseau, Gauguin, Paul Klee e De Chirico. Ho preso montagne di bellissimi libri dalla Art Library (seguendo i suggerimenti del corso di Arte Moderna che sto frequentando ogni settimana) e trabocco di idee e ispirazioni, come se avessi tenuto imbottigliato un geyser per un anno».
Il giorno dell’attentato a Paolo Borsellino consegnai la tesi in segreteria.
Si trattava dell'’analisi semiotica di una poesia di Sylvia Plath ispirata a un dipinto di de Chirico, Le muse inquietanti.
Ho avuto un’ossessione per Plath a partire dall’adolescenza. In maniera del tutto casuale mi sono ritrovata all’università ad unire le due passioni che coltivavo in suo nome, poesia e arte visiva.
Plath era un enorme talento in entrambi i campi ma nella tesi di laurea non ho mai toccato la sua vita privata e/o il suo pensiero, dando spazio invece alla ricostruzione di uno dei suoi poemi per restituire la complessità, la bellezza e la genialità di una grande autrice contemporanea.
La poetessa Plath aveva studiato arte oltre che letteratura e nell’arte ha trovato ispirazione e suggerimenti di un mondo complesso e in mutazione, come fu tra gli anni quaranta e sessanta.
L’arte per Plath è ampliare il talento nella descrizione del mondo, un ausilio determinante per sondare lo spazio attorno a sé.
Le scene quotidiane che disegna ripercorrono i perimetri delle cose e sembra che suggeriscano spunti che descriverà poi nei poemi.
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