Quando si va alla presentazione di un libro o a un vernissage, la prima cosa che una persona cerca di fare è avvicinarsi all’artista per carpirne i segreti.
Come ha pensato quella frase? come è venuta l’idea del libro? perché ha scelto quel titolo? e la mostra da quale idea è partita?
Dietro tutto questo l’immaginazione si scatena.
Si pensa a una folgorazione.
Come nei film quando il protagonista si ferma un attimo, guarda verso il cielo, parte la musica trepidante e poi tutto uno squillo di trombe e infine la rivelazione. Un po’ come il grido del dottor Frankenstein di Mel Brooks fra tuoni e fulmini ne Frankenstein Junior.
S.I. P.U.O’. F.A.R.E.
E da quel momento nascerà il capolavoro che noi tutti conosciamo. Quel libro che ha vinto premi, quella mostra di cui ancora si parla.
La creatura.
E’ fatta si, abbiamo capito dopo la frase rivelatrice, che quel momento esatto ha cambiato del tutto lo stile e la vita dell’autore (o dell’autrice).
Che lavoro schifoso.
Potrebbe essere peggio.
E come?
Potrebbe piovere.
Il dottor Frederick Frankenstein (Gene Wilder)
Riavvolgiamo il nastro per favore.
L’ispirazione come ce la propinano i film, è un’invenzione.
Bella, efficace soprattutto per un’ora o due in tv o al cinema.
Ma il momento della svolta è un tracciato accidentato, pieno di buche, di cadute, di incertezze, di strade sbagliate, di ritorni indietro, di dubbi, di spazzatura. E niente e nessuno può dare la certezza all’artista di aver fatto un buon lavoro.
O meglio, l’artista può anche pensare di aver fatto un capolavoro, ma una volta finita l’opera la si dà in pasto al pubblico e alla critica e solo loro decreteranno la vita o la morte dell’opera.
In questo periodo di esami di maturità, non posso non ricordare un mio grande errore (che poteva decretare un fallimento) che però ha salvato la situazione in maniera strepitosa.
Nella seconda prova scritta c’era un progetto di architettura, nel caso specifico il progetto era disegnare un autogrill.
Non visitavo un autogrill da anni, i viaggi di famiglia erano quasi tutti in treno.
Inoltre durante la stesura del colore, mi cadde una boccetta di inchiostro sul disegno.
Ma questi due inconvenienti, di cui l’ultimo un mastodontico problema, si rivelarono una risorsa.
Non aver visto un autogrill per anni, mi fece disegnare una struttura talmente assurda che piacque molto alla commissione. Mentre per la boccetta caduta, ovviai disegnando delle Azulejos come decorazione esterna (la boccetta di inchiostro era blu).
Che bella idea! - esclamarono.
Eppure ancora oggi ricordo con terrore l’attimo in cui mi trovai di fronte a quei problemi.
Un professore della commissione disse che ero stata molto ispirata.
Ma no, nessuna ispirazione. Era stato solo il panico.
In arte è esattamente così.
Problemi da risolvere, miriadi di idee che sembrano tutte eccellenti per poi scoprire che sono idiote. Panico, delusione.
E la costante idea di aver fallito.
"L'ispirazione esiste, ma ci deve trovare già all'opera." - Pablo Picasso
Non esiste nel vocabolario di un artista la parola “ispirazione”.
Perché nel momento in cui ci si siede a tavolino a disegnare o dipingere o scrivere, si è nel punto di arrivo. Da cui inizierà un altro percorso che non sai come andrà a finire.
E quel punto segna la svolta dopo giorni o mesi o addirittura anni.
E quella certezza di aver trovato la quadra può rivelarsi fallimentare. Nessuno può dire che sarà una buona idea.
Non c’è niente di certo, nulla di sicuro.
Le idee degli altri ti sembreranno sempre migliori. Così come le realizzazioni.
E sposterai continuamente l’asticella dovendo studiare di più, leggere di più, viaggiare di più per … evitare di fallire.
Annegherai nell’autocritica. Soffocherai nell’autocommiserazione.
“L’ispirazione è un ospite che non visita di buon grado i pigri” – P. I. Čajkovskij
Ma la bellezza del creare sta proprio in questa incertezza, nello stare in bilico fra la genialità e la banalità. Non avere un porto sicuro in cui approdare. Non sapere esattamente cosa si sta facendo.
Non c’è controllo o esattezza che possano dirsi realizzabili al cento per cento.
A questo punto, penso che il vero fallimento sia accontentarsi, illudersi di avere creato il capolavoro, pensare che essere idolatrati per qualcosa che si è creato, ci metta al riparo dai crolli della vita.
Il fallimento deve avere una sua leggiadria, deve planare sulle cose ridandogli fiato.
Deve poterci stupire.
E anche un po’ spaventare.
Tu cosa ne pensi?
Non è la specie più forte, né la più intelligente che sopravvive, bensì quella più reattiva al cambiamento. (Charles Darwin)