Era uscita dal negozio angosciata.
Non aveva comprato nulla, avendo perso tempo impacciata nella conta dei soldi.
Non bastavano. E li contava e ricontava.
No non bastavano, doveva lasciare tutto. Si era vergognata, doveva andare via velocemente.
Quindi una scusa inventata sul momento e un saluto goffo e timido, l’inciampo in una gruccia in terra proprio davanti all’entrata (ma vendevano filati perché una gruccia in terra?), aveva aperto la porta con il vetro bagnato sino in terra (una porta a vetri lentigginosa di calcare, sudicia senza esserlo davvero, che strano pensiero le era venuto invece di andare e basta) e lo scenario era insolitamente cambiato.
Fuori nevicava, pochi centimetri in terra e un vento leggero che faceva roteare i fiocchi.
Lei in bermuda e maniche corte in mezzo alla neve senza avere freddo.
Un calesse che passava e il dubbio di essere in un sogno. Un risucchio, un sobbalzo e la certezza: stava sognando.
Si svegliò col senso della neve così vivido che ebbe l’intenzione di aprire la finestra e guardare fuori.
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